Tutto iniziò il 17 agosto di 28 anni fa.
Era il 1992, ed io poco più che bambino stavo seduto in preda all'agitazione su un Boeing 747-400 della KLM in volo da Amsterdam verso la città dei sogni, quelli di allora e quelli di oggi, la città con la ferita più grande di queste ingiustificabili crociate moderne, la città che non si è arresa e combatte con pugni e sorrisi, la città che non dorme mai: New York City.
Ricordo l’arrivo, al buio, con la pioggia e il naso all'insù, a cercare il cielo oltre quelle sagome luminose delle quali era impossibile scorgere la fine, la sensazione di vertigine al contrario che non potrò dimenticare finché avrò coscienza dei miei sensi. Ancor di più rimarrà con me il ricordo di una persona, che prima di lasciarmi per sempre, volle farmi quel regalo, un regalo per la vita, un regalo che nessun bene materiale avrebbe potuto eguagliare.
Per me New York è diventata una malattia, ciò che io definisco una dipendenza: una foto, un articolo di giornale, un minuto di assenza dalla vita reale per cadere tra le sue braccia, sono le dosi quotidiane che "mi faccio" per sopravvivere all'astinenza da una droga che mi ha segnato l'anima.
Ho aspettato diciassette anni per rivederla, per poterla fare ancora mia, da "adulto", con possibilità e consapevolezze differenti.
Lei non è mai cambiata, è sempre un po' meretrice e un po' casta, si dà facilmente o si fa corteggiare fino allo stremo delle forze, in ogni caso la paghi con la stessa moneta che raccogli nelle sue strade: l'energia che scambia con i suoi piccoli abitanti.
Dopo tante notti insieme, sei sempre il mio primo desiderio, la mia prima donna come la prima volta.
